QUESTIONE MERIDIONALE (4)
di Giancarlo Chiari
Quando si parla della Questione Italiana chiamata Questione Meridionale molti non sanno che un testimone - protagonista al di sopra di ogni sospetto con le sue affermazioni comprovate in una lettera ci dice indirettamente che la Storia scritta ed insegnata a scuola è molto lontana dalla realtà. Sto parlando di Giuseppe Garibaldi, uno degli indiscussi Padri dell’Unità d’Italia. Non c’è paese o città italiana la cui strada o piazza principale è a lui intestata. Ebbene, il 7 luglio del 1867, appena sei anni dopo l’unificazione egli scrisse una lettera a Adelaide Cairoli, facoltosa donna nata a Milano l’8 marzo 1806 che abbracciò e finanziò l’idea di una Italia unita sostenendo Garibaldi in alcune delle sue imprese. Adelaide Cairoli è madre di Benedetto Cairoli futuro primo ministro del Regno d’Italia. In questa lettera, reperibile da chiunque presso l’archivio storico a Roma, Garibaldi si difende dal fatto di aver lasciato il Parlamento italiano senza apparente motivo privando il figlio della Cairoli, Benedetto, dell’importante sostegno politico da parte dell’unificatore dell’Italia. A questo punto potrei farvi un riassunto della lettera con alcune mie considerazioni ma preferisco che ognuno di voi si faccia la sua idea leggendola direttamente, mi limiterò solo a dire che Garibaldi lascia il Parlamento in silenzio perché ritiene di non pubblicizzare e motivare le sue decisioni notevolmente critiche verso la gestione dei territori meridionali dopo l’unità d’Italia fatta dal governo di quell’epoca proprio per non danneggiare Benedetto Cairoli. E questo è il testo integrale della lettera:
“Caprera, 7 luglio 1868 - Madonna amatissima,se v’è una voce che possa pesare sulle mie risoluzioni essa è veramente la vostra. E se gli oltraggi commessi dal più immorale dei Governi avessero colpito soltanto il mio pover individuo, io m’inchinerei oggi umiliato ai vostri piedi, impareggiabile madre, e vi direi pentito: Riabilitatemi nell’antica stima. Ma! … vedere il sacrificio di tanti generosi, tra cui preziosissima parte del vostro sangue, risultare a pro d’alcuni traditori e rimanervi indifferente è troppa debolezza, non solo, ma vergogna! E mi vergogno certamente d’aver contatto per tanto tempo nel novero d’un’assemblea d’uomini destinata in apparenza a far il bene del paese, ma in realtà condannata a sancire l’ingiustizia, il privilegio e la prostituzione! Ciocchè dico a voi, avrei potuto motivando la mia dimissione, pubblicarlo. Ma come dire all’Italia ch’io mi vergogno d’appartenere ad un Parlamento ove siedono uomini come Benedetto Cairoli!
Quindi mi sono semplicemente dimesso d’un mandato divenuto ogni giorno più umiliante. E credete voi che perciò io non sia più con essi? Tale dubbio, tale diffidenza, per parte della donna che più onoro sulla terra, mi furono davvero dolorosi! E benché affranto materialmente, io sento nell’anima di voler seguire i campioni della libertà italiana anche ove possa giungere una portantina qui! O Signora, io sento battere con la stessa veemenza il mio cuore, come nel giorno in cui sul monte del Pianto dei Romani i vostri eroici figli facerommi baluardo del loro corpo prezioso contro il piombo barbarico. E quando giunga l’ora in cui gl’Italiani voglian lavare la loro macchia, se vivo, io spero di trovarmi un posto. Lunga è la storia delle nefandezze perpetrate dai servi d’una mascherata tirannide – e longanima troppo – la stupida pazienza di chi li tollerava. E voi donna di alti sensi e d’intelligenza squisita, volgete per un momento il vostro pensiero alle popolazioni liberate dai vostri martiri e dai loro eroici compagni. Chiedete ai vostri cari superstiti delle benedizioni con cui quegli infelici salutavano ed accoglievano i loro liberatori! Ebbene esse maledicono oggi a coloro che li sottrassero dal giogo d’un despotismo che almeno non li condannava all’inedia, per rigettarli sotto un dispotismo più schifoso assai, più degradante, e che li spinge a morir di fame. Io ho la coscienza di non aver fatto male, nonostante non rifarei oggi la via dell’Italia Meridionale, temendo d’esservi preso a sassate da popoli che mi tengono complice della disprezzabile genia che disgraziatamente regge l’Italia e che seminò l’odio e lo squallore ove noi avevamo gettato le fondamenta d’un avvenire italiano, sognato dai buoni di tutte le generazioni e miracolosamente iniziato. E se vogliamo conservare un avanzo di fiducia tra la gioventù chiamata a nuove pugne e che può aver bisogno della nostra esperienza, io consiglio ai miei amici di scuotere la polve( polvere) del carbone moderato con cui ci siamo anneriti e non ostinarsi al consorzio dei rettili striscianti sempre, quando abbisognano, ma pronti sempre a nuovi tradimenti. E chi sa non si ravvedino gli epuloni governativi lasciati soli ravvolgersi nella loro cloaca? Comunque, sempre pronto a gettare il mio rotto individuo nell’arena dell’Unità Nazionale, anche che dovessi ancora insudiciarmi, io non cambio oggi la mia determinazione, dolente di non poter servire popolazioni care al mio cuore, perché buone, infelici, maltrattate ed oppresse quanto qualunque altra nella penisola – e dolentissimo di contrariare l’opinione di voi che tanto amo ed onoro. Un caro saluto ai figli dal Vostro per la vita. Giuseppe Garibaldi”
Quindi mi sono semplicemente dimesso d’un mandato divenuto ogni giorno più umiliante. E credete voi che perciò io non sia più con essi? Tale dubbio, tale diffidenza, per parte della donna che più onoro sulla terra, mi furono davvero dolorosi! E benché affranto materialmente, io sento nell’anima di voler seguire i campioni della libertà italiana anche ove possa giungere una portantina qui! O Signora, io sento battere con la stessa veemenza il mio cuore, come nel giorno in cui sul monte del Pianto dei Romani i vostri eroici figli facerommi baluardo del loro corpo prezioso contro il piombo barbarico. E quando giunga l’ora in cui gl’Italiani voglian lavare la loro macchia, se vivo, io spero di trovarmi un posto. Lunga è la storia delle nefandezze perpetrate dai servi d’una mascherata tirannide – e longanima troppo – la stupida pazienza di chi li tollerava. E voi donna di alti sensi e d’intelligenza squisita, volgete per un momento il vostro pensiero alle popolazioni liberate dai vostri martiri e dai loro eroici compagni. Chiedete ai vostri cari superstiti delle benedizioni con cui quegli infelici salutavano ed accoglievano i loro liberatori! Ebbene esse maledicono oggi a coloro che li sottrassero dal giogo d’un despotismo che almeno non li condannava all’inedia, per rigettarli sotto un dispotismo più schifoso assai, più degradante, e che li spinge a morir di fame. Io ho la coscienza di non aver fatto male, nonostante non rifarei oggi la via dell’Italia Meridionale, temendo d’esservi preso a sassate da popoli che mi tengono complice della disprezzabile genia che disgraziatamente regge l’Italia e che seminò l’odio e lo squallore ove noi avevamo gettato le fondamenta d’un avvenire italiano, sognato dai buoni di tutte le generazioni e miracolosamente iniziato. E se vogliamo conservare un avanzo di fiducia tra la gioventù chiamata a nuove pugne e che può aver bisogno della nostra esperienza, io consiglio ai miei amici di scuotere la polve( polvere) del carbone moderato con cui ci siamo anneriti e non ostinarsi al consorzio dei rettili striscianti sempre, quando abbisognano, ma pronti sempre a nuovi tradimenti. E chi sa non si ravvedino gli epuloni governativi lasciati soli ravvolgersi nella loro cloaca? Comunque, sempre pronto a gettare il mio rotto individuo nell’arena dell’Unità Nazionale, anche che dovessi ancora insudiciarmi, io non cambio oggi la mia determinazione, dolente di non poter servire popolazioni care al mio cuore, perché buone, infelici, maltrattate ed oppresse quanto qualunque altra nella penisola – e dolentissimo di contrariare l’opinione di voi che tanto amo ed onoro. Un caro saluto ai figli dal Vostro per la vita. Giuseppe Garibaldi”
Per chi voglia avere una copia dall’originale della lettera in questione basterà solo richiederla sul sito del MARSS http://www.assomarss.it/prenota-la--lettera-di-garibaldi.html